Coronavirus e lockdown: tra confusione e necessità di ripartire

Nel precedente articolo ho condiviso alcune riflessioni circa il cambiamento nel modo di vivere eventi significativi e relazioni da un anno a questa a parte. Ora vorrei condividere le mie riflessioni circa le reazioni al periodo del lockdown, tra confusione e necessità di ripartire.

Lo stesso problema, diverse reazioni

Le reazioni al periodo del lockdown sono state molteplici, alcune delle quali mi hanno grandemente stupita.

Come è intuibile molti hanno sofferto particolarmente la solitudine o le restrizioni imposte. Queste possono essere state aggravate dalla sensazione claustrofobica conseguente ad un disagio familiare pregresso, di coppia, o condizioni abitative particolarmente affollate o limitanti. Molti hanno riscontrato grande fatica nel conciliare ambiente domestico e lavorativo. E per tutti è inevitabilmente aumentata la preoccupazione per il proprio stato di salute o quello dei propri cari.

Alcuni, inaspettatamente, hanno riferito sensazioni di benessere collegate all’arrestarsi della frenesia quotidiana o al ritrovarsi nella dimensione accogliente ed intima della propria casa. Sono state riportate sensazioni di perfetta connessione e fusione con il partner o la famiglia. Abbiamo momentaneamente messo da parte ciò che è esterno, quel “terzo” che costringe a negoziazioni quotidiane: “chi esce stasera e chi sta con i figli?”, “se esco con le amiche o con gli amici il/la mia partner ci rimarrà male?” ecc.

Inoltre, in alcuni casi, le persone con disabilità si sono ritrovate vicine ai propri cari con più tempo a disposizione e ritmi meno congestionati. Molti hanno sentito il mondo andare un po’ più alla “loro velocità”, ricavandone una maggior serenità.

Tra ripresa, imprevedibilità e cronicizzazione

Credo sia stata sottovalutata la fatica relativa alla ripresa –per alcuni settori tutt’altro che stabile-  delle attività all’interno di una situazione che si sta cronicizzando. Lecitamente la maggiore preoccupazione di molti è andata al riuscire almeno a riprendere le proprie attività lavorative con tutte le debite precauzioni.

La ripresa in questa circostanza credo sia però tanto necessaria quanto emotivamente complicata. Pensiamo alla necessità di includere nelle routine quotidiane le pratiche di sanificazione personale e degli ambienti, monitoraggio della temperatura ecc; queste azioni sono necessarie ed imprescindibili ma contemporaneamente fanno avvertire un senso costante di pericolosità. Una sensazione di costante precarietà può portare istintivamente a negare la gravità della situazione; alcuni possono considerare mascherine e sanificazioni poco utili, o vederli come un modo per limitare le libertà individuali. Credo questi siano tentativi inconsapevoli di arginare l’angoscia per una situazione effettivamente preoccupante.

Lavoro, richiesta di flessibilità e incertezza

stress legato allo smartworking

Molti professionisti o imprenditori hanno registrato un drastico calo della richiesta, e lavoratori dipendenti si sono trovati a dover affrontare lunghi periodi di cassa integrazione. Queste circostanze hanno portato all’ aumento della sensazione di incertezza ed all’aumento di sofferenza psicologica correlata.

Anche chi ha continuato a lavorare ha dovuto far fronte a necessità complicate, come ad esempio la pressante richiesta di flessibilità.

Le famiglie con bambini devono organizzarsi in caso di quarantena bisettimanale dei figli. Chi lavora fuori casa deve affrontare nella maggior parte dei casi una riorganizzazione delle abitudini, delle prassi e degli orari. Anche chi ha iniziato a lavorare stabilmente da casa deve affrontare una rimodulazione dei tempi e degli spazi, la mancanza del contatto con l’ambiente sociale dei colleghi e trovare nuovi modi per comunicare.

Dobbiamo affrontare nuove richieste con il pensiero parallelo circa la nostra ed altrui incolumità, il lockdown, tra confusione e necessità di ripartire, comporta uno sforzo di adattamento non da poco.

Crediamo quindi che a farla da padrone in questo momento siano la mancanza di prevedibilità, la sensazione di essere in balia degli eventi e non avere alcun controllo, la percezione di indeterminatezza e precarietà esistenziale; tali sensazioni possono generare un alto livello di confusione e stress.

Sono in aumento infatti i disturbi del sonno e la sensazione di emozioni che travolgono come un onda; possono verificarsi cali del tono dell’umore ed aumento delle difficoltà relazionali e di comunicazione.

Questo genere di sofferenza psicologica provoca una sorta di circolo vizioso che porta ad una maggior difficoltà emotiva e minor efficienza nel quotidiano.

Lockdown: tra confusione e necessità di ripartire. Come fare fronte a tutto ciò?

è importante ricavare i propri spazi in tranquillità
  • E’ importante cercare di accogliere i propri stati d’animo anche se giudicati poco razionali o acontestuali. Cercare di permettere a noi stessi di sentirci improvvisamente arrabbiati o molto tristi, senza cercare un modo per disfarci di tali sentimenti o ignorarli.
    Quello che rende più difficile l’alleviarsi di tali sentimenti è la paura che questi possano “affogarci” o farci “impazzire”. E’ bene ricordare che queste emozioni possono essere passeggere e tanto più le si ostacola, tanto più rischiano di sfogarsi sul corpo (mal di stomaco, tachicardia, tachicardia, aumento delle crisi di asma e dell’ insorgere di psoriasi e disturbi della pelle) o di far aumentare la sensazione di un onda che sommerge.
  • non colpevolizzare sé stessi per ciò a cui non si riesce a fare fronte, per la minor efficienza o per le emozioni provate. Ricordare che la frustrazione a cui siamo sottoposti è, in qualche misura, molto simile a quella che stanno vivendo le persone che ci circondano
  • cercare di trovare un proprio ritmo sia nel mantenere le relazioni sociali che nel portare avanti ciò che stimola e fa stare bene
  • accettare la rabbia o i sentimenti negativi che derivano dalla sensazione di perdita (di un’ esperienza, di tempo, di contatti che ora è più difficile mantenere ecc)
  • non vergognarsi a chiedere l’intervento di un professionista. Se siamo disposti ad andare dall’oculista se vediamo meno bene o dal dentista se ci fa male un dente, perché non pensare di affidarsi ad uno psicoterapeuta? In terapia è possibile costruire un percorso di significati che conferisca dignità a quanto provato, anche ai sentimenti più fastidiosi e dolorosi e possa aiutare ad alleviare una sofferenza non spiegabile e non condivisibile.

Se vuoi approfondire quest’ultimo punto ti consigliamo questa lettera di Nancy McWilliams

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